PSICOTERAPEUTA TARANTO - TERAPIA BREVE DEI DISTURBI D'ANSIA (PANICO, FOBIE, DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO)

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il DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO non è un problema di contenuto ma di forma
Nelle sezioni precedenti del mio blog su medicitalia abbiamo osservato come nasce una dinamica ossessiva https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/89...
"Vorrei che lo facessi per me" La pretesa nevrotica
Sarà sicuramente difficile incontrare qualcuno che non si sia trovato davanti ad una richiesta, o meglio, una pretesa in ambito relazionale imposta su...
CIBO e OSSESSIONE: quando la MALATTIA sta nella DIETA
Il modo migliore per non fare una dieta dimagrante è proprio quello di mettersi a dieta. Più si percepisce la restrizione verso il cibo più la voglia ...
01/02/2022 12:40
il DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO non è un problema di contenuto ma di forma
Nelle sezioni precedenti del mio blog su medicitalia abbiamo osservato come nasce una dinamica ossessiva https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/895-la-trappola-delle-ossessioni.html, come si mantiene in vita https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/3715-la-rimuginazione-ossessiva-come-risolverla.html e argomentato su tutto ciò che gira intorno al Disturbo Ossessivo Compulsivo https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/4051-i-pensieri-ossessivi-possono-diventare-reali.html;
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/7536-perche-le-compulsioni-ritornano.html.

Qui entreremo nel merito di un’ulteriore dinamica, ma questa volta legata alla struttura del DOC. Quando quest’ultimo si presenta, si crea nel soggetto uno stato di angoscia legato al suo contenuto, infatti si parla, seppur in modo scorretto, di DOC relazionale, omosessuale, aggressivo, da contaminazione e di tutte le varianti che la nostra “creatività” ansiosa può costruire. Non c’è limite alle differenti forme con il quale il DOC è in grado esprimersi. Passata un’ossessione, ecco che se ne presenta un’altra dal contenuto diverso che, a volte, rende meno angosciosa la prima per prenderne il sopravvento. E chi ne è portatore è spinto verso una nuova ed estenuante battaglia per difendersi. Altra caratteristica del portatore di DOC è la memoria corta. Ossia dimentica che la trappola è la stessa e rimette in atto tutte le dinamiche disfunzionali (che abbiamo già descritto nelle sezioni precedenti) per difendersi. Ma, tornando al contenuto, un’affermazione possiamo farla con sufficiente determinazione: il DOC è uno soltanto e i contenuti non sono altro che varianti di uno stesso meccanismo di pensiero......

continua su
https://www.medicitalia.it/blog/psicologia/8185-disturbo-ossessivo-compulsivo-un-problema-di-forma-non-di-contenuto.html
 
04/10/2016 18:56
"Vorrei che lo facessi per me" La pretesa nevrotica
Sarà sicuramente difficile incontrare qualcuno che non si sia trovato davanti ad una richiesta, o meglio, una pretesa in ambito relazionale imposta su basi prive di ogni fondamento e sostenuta solo da dinamiche emotive. In ambito famigliare, e soprattutto, nelle coppie, questi giochi “irrazionali” sono alla base di litigi, conflitti e, in certe occasioni, addirittura di rotture. A quanti uomini una propria compagna ha chiesto di rinunciare alla palestra, a un corso di formazione, un viaggio di lavoro o di fare un acquisto al di fuori della propria portata economica? O a quante donne il proprio compagno ha chiesto di non andare a cena con le amiche o di non seguire un corso di aerobica? “Vorrei che non andassi in quel posto perché sono io che te lo chiedo”, “mi piacerebbe che rinunciassi a quella cosa solo per me” o, ancor peggio, “devi farlo perché è una cosa che ti chiedo io” e davanti a richieste di spiegazioni che possano supportare le motivazioni di tale richieste si ottengono risposte ancora più rigide del tipo: “semplicemente perché te lo sto chiedendo io”. Continua su http://www.medicitalia.it/blog/psicologia/6479-chiesto-pretesa-nevrotica-gioco-potere.html
 
25/05/2013 09:37
CIBO e OSSESSIONE: quando la MALATTIA sta nella DIETA
Il modo migliore per non fare una dieta dimagrante è proprio quello di mettersi a dieta. Più si percepisce la restrizione verso il cibo più la voglia di esso diventa irrefrenabile invalidando così ogni preparato nutrizionale messo a punto dallo specialista.

In una news precedente sulle ossessioni

http://www.medicitalia.it/a.devincentiis/news/895/La-trappola-delle-ossessioni

evidenziai come il tentativo di neutralizzare un pensiero ossessivo, mediante la volontà di non pensarci e/o di reprimere tal pensiero, non solo risulti fallimentare ma ne potenzia addirittura la sua consistenza.

Lo stesso meccanismo avviene quando si cerca di mettersi a dieta nel tentativo di controllare il proprio peso stando lontani dai cibi che piacciono. Chiunque abbia avuto questo tipo di esperienza sa bene quanto sia difficile e sa che, il più delle volte, la dieta spinge addirittura ad assumere più cibo nel momento in cui si vive un fallimento dovuto al venir meno di alcune regole che la stessa cura ha imposto.



“Oramai oggi ho sgarrato” siamo soliti dirci e via con l’assumere quello che ci capita. Ed ecco i sensi di colpa con la conseguente decisione di effettuare nuove restrizioni nell’illusorio tentativo di recuperare. La nuova restrizione fa si che la voglia di assumere determinati alimenti si trasforma in una vera e propria ossessione dalla quale cerchiamo inutilmente di liberarci con ogni strategia. Si assumono barrette dietetiche rompi fame, bevande senza calorie, si cercano distrazioni; tutti tentativi che non stanno facendo altro che incrementare il desiderio verso alimenti che più piacciono e quindi stanno preparando il terreno per una nuova trasgressione, con il conseguente circolo vizioso che ne consegue.



La scelta di mettersi a dieta, in definitiva, ha determinato una nuova forma di ossessione che non solo non ne permetterà il suo successo ma peggiorerà addirittura il problema. In questo video spiego come una ricerca ha dimostrato proprio come è la dieta che, spesso, fa ingrassare.


Allora cosa fare per dimagrire? La dieta, oltre all’attività fisica, paradossalmente, rimane sempre la soluzione migliore per perdere peso, ma essa non può essere prescritta senza considerare le condizioni psicologiche del paziente e, soprattutto, i suoi precedenti tentativi falliti.

L’approccio al dimagrimento deve essere innanzitutto psicologico, orientato alla ricerca di quelle strategie comportamentali, più che nutrizionali, in grado di permettere al paziente di non vivere la cura come una repressione e non creargli quella ossessione per il cibo che tenderà a farlo ingrassare di più.

PS: tutti sanno cosa non mangiare per dimagrire, pochi sanno come farlo.
 
24/03/2013 10:01
La sindrome da possessione demoniaca
Avete mai riflettuto su quanto sia beneducato il demonio? Sì, beneducato perché rispetta sempre il credo ed il contesto culturale di chi lo ospita e, addirittura, obbedisce alle sue regole. Si è mai osservata una classica possessione in stile film "L'esorcista" in un indiano? Si è mai sentito di una qualche entità diabolica che scelga come ospite un gruppo culturale dove non è contemplata la credenza nel diavolo? Infine, è l'esorcismo che ne conferma la presenza o, semplicemente, la costruisce dal nulla? Ecco l'intento di questo lavoro: descrivere una storia di possessione per spiegare, in realtà, come questo fenomeno possa nascere.
 
14/05/2009 12:35
Terapia breve dei disturbi d'ansia
LE TERAPIE PIU' EFFICACI dei disturbi d'ANSIA, di PANICO e dei diturbi DEPRESSIVI sono basate sul cambiamento della percezione dell'esperienza minacciosa e/o angosciosa.

L'approccio focalizzato breve pone l'attenzione su come il problema funziona e si mantiene nel presente e su quali strategie disfunzionali vengono messe in atto per affrontarlo. Il paziente viene guidato a costruire quelle abilità e capacità individuali che permettono di gestire il problema per superarlo efficacemente e definitivamente.

Attraverso un'analisi attenta delle tentate soluzioni disfunzionali, si aiuta la persona che le mette in atto innanzitutto a bloccarle e poi a sovvertirle rendendole funzionali.


Il presupposto che è alla base di tale metodo è " conoscere un problema mediante la sua soluzione ", cioè conoscere una realtà attraverso le strategie in grado di cambiarla.

Tale approccio è valido sia per i disturbi d'ansia sia per i disturbi depressivi, i disturbi del COMPORTAMENTO ALIMENTARE, i disturbi della SESSUALITA' ed in tutte quelle situazioni in cui il paziente adotta soluzioni disfunzionali e inefficaci per la soluzione delle proprie problematiche psicologiche.


Bibliografia di riferimento: Watzlawick et al. CHANGE, sulla formazione e soluzione dei problemi, Astrolabio. Weacland et. al. CHANGE, la terapia in tempi brevi, Astrolabio. Watzlawick P., Nardone G., 1997 (a cura di) - Terapia breve strategica - Raffaello Cortina Editore - Milano. Nardone G., 2003 /8 - non c'è notte che non veda il giorno, Ponte alle Grazie, Milano. Nardone G., 2000 - Oltre i limiti della paura - Rizzoli, Milano. Rizzoli, Milano. Nardone G. Paura, panico, fobie, Ponte alle Grazie, 2000.


 
10/05/2009 09:46
IL PENSIERO DEPRESSIVO
Ciò che mantiene in vita il comportamento depressivo è innanzitutto costituito dalle particolari modalità di percepire ed interpretare la realtà circostante. Chi soffre di depressione è portatore di un pensiero orientato alla demistificazione di sé stesso e di tutto ciò che riguarda il suo comportamento. Inadeguatezza personale, sentimenti di colpa, visione negativa verso il futuro tristezza e incapacità di affrontare la vita sono i temi dominanti che pervadono la mente di un depresso.
Sulla base dello stile cognitivo di un portatore di tale disturbo alcuni ricercatori hanno effettuato una distinzione tra le varie tipologie di pensiero che inducono inevitabilmente verso un comportamento di “rinuncia”.

-l’illuso deluso di sé stesso. Questo modello di pensiero si basa sull’idea originaria di non aver mai posseduto nessuna capacità psicologica o biologica per affrontare le situazioni, si basa sulla convinzione di una debolezza che ci si porta dietro fin dalla nascita. Oppure si ha la sensazione di non avere più quella forza necessaria di cui un tempo si era a disposizione. Di conseguenza si hanno reazioni aggressive verso sé stessi, con la conseguente sensazione di non poter nulla contro una condizione verso la quale non poter far altro che portarne il peso.

-l’illuso deluso degli altri. Questo modello si basa sulla sensazione di essere vittima del comportamento altrui. Si vive nella convinzione di aver posto fiducia nelle persone, nel mondo, mentre è proprio questo che non si è comportato come avrebbe dovuto, facendo perdere quindi quell’illusione ed entusiasmo che sono stati posti verso gli altri e determinando inevitabilmente una condizione di delusione di tradimento e di risentimento.

-lo sconfitto, questo modello di pensiero si basa sull’idea che il mondo e gli altri siano sbagliati e si vorrebbe che la gente si comportasse secondo la propria visione della vita. Se le cose non vanno secondo la propria visione personale, se accade qualcosa che delude tale visione si cade in sentimenti di irritazione frustrazione e profonda insoddisfazione.

-Un’alternativa alla rinuncia è costituita dal comportamento maniacale del paziente. Per difendersi dalla posizione depressiva e dal visuto di scarsa autostima un individuo mette in atto una serie di difese maniacali il cui scopo è la negazione dei propri sentimenti negativi e dell’angoscia che da questi ne scaturisce. Tale condizione, sul piano comportamentale, si esprime attraverso reazioni euforiche, aggressive che, a loro volta, creano rimorsi e sensi di colpa contribuendo quindi ad un nuovo episodio depressivo (disturbo bipolare).

Autori di riferimento: Muriana, Pettenò, Verbitiz (C.T.S. Arezzo).
Gabbard G. Psichiatria Psicodinamica (1995)
 
01/05/2008 18:11
SOVRASTIMATA L' EFFICACIA DEGLI ANTIDEPRESSIVI
Secondo numerosi ricercatori molti antidepressivi usati da 40 milioni di persone "NON funzionano ". Questo il titolo di apertura di una edizione del Guardian sotto una grande foto di una pillola del noto antidepressivo "Prozac" che, messo a confronto con un placebo, secondo uno studio citato anche dal Times, in molti casi è inefficace.

Gli antidepressivi "NON producono effetti clinicamente significativi", fa eco l' Independent, che dedica l'apertura allo studio condotto dall'equipe del professor Irving Kirsch, dell'Università di Hull, i cui risultati sono pubblicati sulla rivista on line "PUBLIC LIRARY of SCIENCE (PLoS) MEDICINE". Lo studio, ha precisato il ricercatore, è stato presentato alla FDA (l'ente americano per il controllo sui farmaci).

Gli antidepressivi come Prozac, Seroxat, stando alla ricerca, inducono miglioramenti "minimi" rispetto al placebo, valutabili in due punti sulla scala Hamilton della depressione, che si compone di 51 punti. Questo e' stato sufficiente perché le molecole in questione ottenessero l'autorizzazione alla commercializzazione, ma, sottolinea l'Independent, in Gran Bretagna non sarebbe dovuto bastare: l'Istituto nazionale per l'eccellenza clinica (Nice) stabilisce che sono necessari tre punti sulla scala Hamilton per stabilire una differenza clinica significativa.

Il Nice peraltro ha approvato la commercializzazione dei farmaci in questione perché si è basato sui dati di sperimentazione pubblicati, da cui risultavano effetti terapeutici molto piu' vistosi. "Stando ai risultati - ha osservato il professor Kirsch - non sembrano esserci grandi motivi per prescrivere gli antidepressivi se non alle persone affette da depressione grave, qualora le terapie alternative non abbiano prodotto effetti. Questo studio solleva gravi interrogativi sul modo in cui vengono concesse le autorizzazioni per i farmaci e sulla divulgazione dei dati della sperimentazione. Insomma, sottolinea l'Independent, sotto accusa ancora una volta sono le multinazionali farmaceutiche, che avrebbero manipolato i dati clinici.

La popolarità degli antidepressivi, introdotti alla fine degli anni '80, è schizzata alle stelle, scrive l'"Independent", dopo le campagne in cui le industrie farmaceutiche assicuravano che si trattava di prodotti sicuri e con minori effetti collaterali rispetto ai vecchi antidepressivi triciclici. Questi antidepressivi sono noti come inibitori selettivi del reuptake della serotonina (SSRIs); il più diffuso, prodotto dalla Eli Lilly, era il farmaco più venduto al mondo. Lo studio, condotto su sei dei più noti antidepressivi, tra cui Prozac, Seroxat ed altri, prodotto dalla GlaxoSmithKline, ed Efexor, della Wyeth, mostra che sono efficaci solo su una parte "minima" delle persone depresse.

FONTE: Rainews24.IT
 
01/03/2008 22:18
ANTIDEPRESSIVI, DAVVERO POCO EFFICACI
Le teorie correnti ritengono che l'aumento dei mediatori chimici (serotonina, noradrenalina, dopamina) rappresenti il meccanismo d'azione attraverso cui si determina un miglioramento della depressione. Come mai così tante vendite? La ragione è semplice: questi farmaci si utilizzano per trattare situazioni che nulla hanno a che fare con la depressione, una importante e grave malattia psichica che richiede adeguate terapie. Succede invece che si trattino con i farmaci anche gli "stati depressivi" che sono tutt'altra cosa. Se qualcuno perde una persona cara, viene licenziato dal posto di lavoro, si trova in difficoltà economiche, è chiaro che non può essere felice e che si senta in condizioni di difficoltà. Tuttavia questo è un evento della vita, una situazione che non ha nulla a che fare con la medicina.

Anziché assumere farmaci si dovrebbe attingere alle proprie risorse interiori, alle proprie energie per superare il momento critico.L'ASSUNZIONE DI FARMACI ANTIDEPRESSIVI PUO' ESSERE ADDIRITTURA NEGATIVA, DIMINUENDO LE NOSTRE CAPACITA' DI REAZIONE. Se si manifesta al medico una situazione di depressione, se ci si sente "un po' giù", i medici meno interventisti prescriveranno un integratore alimentare a base di vitamine, mentre molti medici interventisti sceglieranno uno dei tanti farmaci antidepressivi disponibili sul mercato. Se non lo farà il medico è probabile che un amico o un parente consigli di fare quello che "ha fatto bene anche a me" porgendo magari la scatoletta di prodotto residuato dalla sua esperienza. Sono raramente attivi questi farmaci antidepressivi? Indubbiamente l'opinione generale dei medici è positiva, perché la letteratura scientifica è positiva. In realtà da qualche anno alcuni ricercatori scientifici avevano messo in guardia gli addetti ai lavori dimostrando che sono i lavori scientifici positivi quelli che vengono pubblicati più facilmente, mentre quelli negativi rimangono nei cassetti. Alcune ricerche hanno mostrato che gli studi clinici controllati che riportano un risultato positivo hanno tre volte più probabilità di essere pubblicati rispetto a quelli negativi. Questi inoltre vengono pubblicati in tempi più lunghi. La FDA, l'organismo americano che si occupa delle registrazioni dei farmaci, ha mostrato che, se si valutano solo i lavori positivi, l'efficacia dei farmaci antidepressivi sembra molto più rilevante. Molto recentemente un gruppo italiano in collaborazione con ricercatori giapponesi ha portato un ulteriore apporto alla conoscenza del problema.

Questi Autori hanno esaminato tutti i lavori pubblicati e non pubblicati per un totale di 3704 pazienti che avevano ricevuto la paroxetina, un farmaco antidepressivo di largo uso che agisce sulla serotonina, e 2687 pazienti che erano stati invece trattati con un placebo. I risultati sono stati veramente inquietanti perché non vi era alcuna differenza tra farmaco e placebo quando si considerava la durata del trattamento o meglio il numero di pazienti che interrompeva il trattamento per qualsiasi ragione. Il fatto che non vi sia differenza depone per una mancanza di efficacia. Tuttavia per altri aspetti la paroxetina mostrava differenze rispetto al placebo, le differenze erano veramente modeste: per ogni 100 adulti portatori di depressione 53 pazienti hanno mostrato una risposta nel miglioramento della malattia mentre il placebo produceva 42 risposte positive.

IN TOTALE QUINDI SI DEVONO TRATTARE 100 PAZIENTI PERCHè 11 ABBIANO UN BENEFICIO, MA ANCHE PER QUESTI 11 IL BENEFICIO è MOLTO MODESTO:

statisticamente significativo, ma CLINICAMENTE POCO UTILE. Ciò che invece sembra indiscutibile sono gli effetti tossici ed in particolare la maggior tendenza per la paroxetina rispetto al placebo all'ideazione e ai tentativi di suicidio. Perciò le conclusioni sono molto semplici: non facciamo uso improprio di antidepressivi; C'è IL PERICOLO CHE I RISCHI NON SIANO COMPENSATI ADEGUATAMENTE DAI BENEFICI
N.B.: chi ne vuol sapere di più può consultare lo studio di C. Barbui et al. – Canadian Medical Association Journal, 2008, 178, 296.

FONTE:
Silvio Garattini, Istituto Faramcologico Mario Negri di Milano
http://www.marionegri.it/mn/it/pressRoom/istitStampa/archivio08/FarmaciAntidepressivi.html
 
01/01/2008 16:19
Il TEST RORSCHACH E' INATTENDIBILE
Il Rorschach e altri test proiettivi sottoposti a una severa metanalisi
Il testo integrale di questo articolo si trova sul numero di maggio di «Le Scienze». Il test proposto negli anni venti dallo psichiatra svizzero Hermann Rorschach - nel quale si chiede ai soggetti di descrivere ciò che vedono in una serie di dieci macchie d’inchiostro - è il più popolare tra i metodi proiettivi ed è somministrato ogni anno a centinaia di migliaia, o forse milioni, di persone. Questo articolo si riferisce alla moderna versione modificata, non a quella originale. A dispetto della sua popolarità, il sistema inciampa su due importanti criteri che risultavano già problematici per il Rorschach originale: l’affidabilità nella valutazione e la validità. Uno strumento affidabile nella valutazione porta a risultati analoghi indipendentemente da chi valuta e tabula le risposte. Una tecnica è valida se misura ciò che intende misurare. Per capire i difetti del Rorschach occorre sapere qualcosa sul modo in cui si interpretano le risposte date di fronte alle macchie di inchiostro. Per prima cosa, lo psicologo classifica le reazioni tenendo conto di più di 100 variabili. Registra se la persona ha osservato le macchie nella loro interezza o solo delle parti, annota se le figure erano inconsuete o tipiche di chi si sottopone al test, e indica quali aspetti delle chiazze di inchiostro hanno contribuito a determinare la risposta. Poi compila un profilo psicologico del soggetto. In questo processo interpretativo gli psicologi potrebbero arrivare alla conclusione che l’attenzione ai dettagli invece che alle immagini intere segnali ossessività in un paziente, e che vedere qualcosa negli spazi bianchi tra le macchie metta in luce una vena negativa. Recenti studi dimostrano che la concordanza è forte SOLO PER CIRCA META' DELLE CARATTERISTICHE ESAMINATE; per le altre variabili, gli esaminatori potrebbero dare valutazioni molto differenti. Altrettanto sconcertante è che

LE ANALISI INDICANO L'INEFFICACIA DEL RORSCHACH NELL'INDIVIDUARE MOLTE CONDIZIONI PSICOPATOLOGICHE. Il metodo non individua in modo costante depressione, ansia o personalità psicopatica. Inoltre, per quanto gli psicologi somministrino il Rorschach per stabilire la propensione alla violenza, all’impulsività e al comportamento criminale, le ricerche fanno ritenere che nemmeno per questi obiettivi il test sia valido. I risultati tratti dalle macchie d’inchiostro SONO ANCORA PIU' FUORVIANTI PER LE MINORANZE Numerose ricerche hanno mostrato che le valutazioni degli afroamericani, dei nativi americani, dei nativi alaskiani, degli ispanici e dei centro- e sud-americani divergono notevolmente dalla norma.

IL COMPLESSO DELLE RICERCA SOLLEVA SERI DUBBI SULL'USO DEL RORSCHACH
negli studi di psicoterapia e nei tribunali(..)I risultati delle nostre ricerche servono forse a contrastare un quadro delle tecniche proiettive eccessivamente roseo. I nostri risultati offrono anche una lezione più ampia per chi pratica nelle cliniche, per gli studenti di psicologia e anche per il grande pubblico: perfino i professionisti di più lunga esperienza possono essere ingannati dalle loro intuizioni e dalla loro fiducia in strumenti la cui efficacia non trova conforto nei dati.
Fonte:
LeScienze
 
02/04/2007 09:11
I TEST INTELLETTIVI NON MISURANO L'INTELLIGENZA
buone notizie per tutti coloro che hanno sempre avuto il complesso di non avere un quoziente intellettivo "da record", per così dire. A consolare anti-logici e allergici alla matematica sono alcuni studiosi americani e canadesi che puntano il dito contro il QI, definendolo una misurazione poco veritiera dell'intelligenza "reale" di un individuo. Secondo un articolo pubblicato dalla prestigiosa rivista New Scientist, valutazioni di questo tipo potrebbero spiegare il comportamento "poco brillante" di alcune personalità di spicco della cultura internazionale.

Ebbene, il QI non è tutto, ci dicono gli esperti di ragionamento e psicologia dello sviluppo di alcuni tra i più importanti centri di ricerca del mondo. A guidare la rivolta contro i famigerati test dell'intelletto è Keith Stanovich, professore di sviluppo umano e psicologia applicata all'università di Toronto, in Canada. Stanovich ha passato circa 15 anni della sua carriera a lavorare alla tesi per cui anche i cervelloni possono agire in maniera stupida, e viceversa. Il problema, dal suo punto di vista, sta nel modo in cui viene comunemente valutata l'intelligenza di una persona.

In particolare, il QI non sarebbe un valido indicatore di razionalità o "good thinking", come si dice in termini tecnici. Essere "clever" sulla carta - vale a dire "intelligenti" - non vuol dire necessariamente essere "smart", ossia "pronti", "svegli", "reattivi" alle circostanze.

Secondo Stanovich e altri studiosi, i test per misurare il QI sono in grado di valutare solo certe facoltà mentali, tra cui l'attitudine alla logica e al ragionamento astratto, la velocità di apprendimento e le capacità mnemoniche: tutte informazioni legate alla quantità di "materiale" che un individuo riesce a contenere nel proprio cervello. Da questi indicatori resterebbe completamente esclusa l'abilità di giudicare e prendere decisioni nelle situazioni reali: il cosiddetto ragionamento "intuitivo" o "spontaneo", così importante da poter far diventare "smart" un "fool", e "fool" un "clever".

Per David Perkins, docente di scienze del ragionamento alla Harvard Graduate School, avere un quoziente intellettivo alto è un fattore positivo, ma non è certo sinonimo di intelligenza tout court. "Avere un buon punteggio di QI è come l'altezza per un giocatore si pallacanestro", spiega con una metafora. "Certamente non guasta, ma da ci sono molte altre dimensioni da considerare. Essere un buon cestista implica molto di più di essere alti. Allo stesso modo - prosegue - essere un buon pensatore va ben oltre un quoziente intellettivo sopra la media".

Critiche allo strapotere del QI arrivano anche dall'università di Plymouth, nel Regno Unito. Secondo Jonathan Evans, professore di psicologia cognitiva, "i test del quoziente intellettivo sono sopravvalutati in gran parte delle nostre società, dal momento in cui determinano la carriera accademica e professionale di milioni di persone in tutto il mondo". Ogni anno, infatti, l'accesso a università, concorsi e incarichi pubblici di alto respiro è assegnato sulla base di un punteggio che, nei fatti, "rappresenta solo una parte del nostro essere smart".

La sfida, per gli psicologi e i guru del ragionamento, è trovare un modo per "misurare" entrambe le dimensioni della cognizione umana: vale a dire l'intelligenza in senso stretto (intesa come capacità di ragionamento astratto) e il pensiero pratico razionale. Un'impresa non facile, se si pensa alle innumerevoli variabili che guidano i comportamenti e le scelte quotidiane. Alcuni studiosi, tra cui lo stesso Keith Stanovich, hanno proposto di affiancare ai grattacapi matematici dei test per valutare il "quoziente razionale", coniando per l'occasione la sigla RQ (da "rationality-quotient"). Peccato che, anche in questo caso, i dubbi si moltiplichino dando origine a nuove domande. Tra cui: come assegnare un numero alla capacità di reazione dei singoli? E come decidere quale azione è razionalmente migliore di un'altra? E ancora, come garantire una valutazione oggettiva delle intuizioni? La risposta al più intelligente... Ops, al più smart, sempre che i nuovi test siano in grado di scovarlo tra tanti.
 
02/01/2007 09:32
LA DIAGNOSI PSICOLOGICA
- Dal greco dià (attraverso) gnosis (conoscenza)
- Processo volto alla rilevazione e descrizione di fenomeni riconosciuti come patologici, o procedura orientata a ricondurre un determinato fenomeno all’interno di una specifica categoria.
Nonostante questa definizione Il concetto di diagnosi nell’ambito del comportamento umano non è univoco.
Se sotto certi punti di vista alcuni autori considerano la diagnosi come un concetto che rappresenta unicamente una etichetta superficiale che ha il solo scopo di inquadrare un determinato comportamento affinché si possa utilizzare un linguaggio unico e universalmente condiviso ma che non è di nessun aiuto al trattamento psicologico (Satir, 1986), da un altro aspetto la diagnosi ha una vera e propria funzione descrittiva la cui finalità è quella di determinare il funzionamento di un essere umano sotto l’aspetto comportamentale, psicologico e psicopatologico grazie al quale è possibile la messa a punto di una adeguata terapia (Ackerman, 1958).
In ambito psicologico la diagnosi si riferisce esattamente a quest’ultimo concetto. Il compito dello psicologo che effettua una diagnosi è, in pratica, quello di definire il funzionamento di un paziente attraverso la descrizione delle sue dinamiche comportamentali che comprendono i suoi vissuti, le sue relazioni e le modalità psicologiche e patologiche che ne sono alla base.
la diagnosi psicologica evidenzia e descrive l’unicità dell’individuo attraverso la comprensione dei suoi aspetti emotivi e cognitivi orienta verso una strategia terapeutica ed è in uno stato di continuo “work in progress” in grado di essere modificata sulla base dei cambiamenti che avvengono durante l’intervento terapeutico. Essa è un processo attivo di raccolta, analisi ed integrazione delle informazioni.

Quali sono le competenze diagnostiche dello psicologo?
La competenza dello psicologo è orientata a quella che viene definita diagnosi clinica, diagnosi storica e diagnosi sociale.
Tutte inquadrabili in ciò che viene espresso sotto il termine “psicodiagnosi”.
La diagnosi clinica è orientata alla definizione del funzionamento dell’individuo che va oltre la sola sintomatologia e comprende l’assetto cognitivo del soggetto, il suo stile di pensiero, se esso è immerso in una dimensione di realtà o da quest’ultima distaccato, inoltre valuta la capacità di rappresentazione mentale mediante l’analisi dei processi di valutazione e decisione e la presenza o meno di vissuti emozionali psicopatologici che ne influenzano i suoi comportamenti.
La diagnosi storica, ossia la ricerca di quelle dinamiche psicologiche e relazionali pregresse che potrebbero rappresentare degli importanti antecedenti in grado di influenzare o meno il vissuto attuale del soggetto.
La diagnosi sociale, ossia la valutazione di quelle dinamiche situazionali (familiari, ambientali, sociali) che potrebbero determinare e influenzare il funzionamento attuale dell’individuo e che, in associazione alle informazioni ottenute mediante la valutazione storica e clinica, determina il quadro globale e unico di un determinato soggetto.

Fare una diagnosi in psicologia significa quindi effettuare una distinzione , ossia non solo distinguere normale da patologico ma distinguere e descrivere una dinamica comportamentale in cui inquadrare anche un tipo di comunicazione (sia essa rigida o paradossale), un’organizzazione famigliare in cui valutare una atteggiamento invischiato e/o disimpegnato di uno o più membri, oppure un intero sistema in cui vi sia un tipo di assetto disfunzionale anziché un altro (Minuchin, 1974, Andolfi, 1982)

Lo scopo della diagnosi psicologica non è solo quello di “chiamare” una malattia ma è innanzitutto la comprensione di “come” il paziente è malato (Menninger, 1966) affinché si possa giungere alla conclusione di quali interventi effettuare per poterne modificare l’eventuale sofferenza e/o disagio. La diagnosi psicologica deve tenere sempre in considerazione la dimensione culturale di un certo comportamento onde evitare di classificare come anormale un atteggiamento che in un altro contesto socio-culturale è ben integrato, accettato e quindi normale.

In ambito psicologico è possibile effettuare un’altra distinzione, ossia tra diagnosi psicodinamica e diagnosi sistemica.

La diagnosi sistemica è un sistema di valutazione utilizzato in ambito psicoterapeutico ad indirizzo sistemico-relazionale la cui funzione non è solo quella di evidenziare tutte le caratteristiche già descritte in ambito clinico, storico e sociale su definite ma va oltre la dicotomia fittizia tra valutazione ed intervento poiché integra nel processo di valutazione una condizione orientata alla ridefinizione, alla riorganizzazione e all’attribuzione di significati all’interno di un determinato sistema famigliare e questo, di per sé, implica già una valenza terapeutica. In ambito sistemico relazionale il concetto di diagnosi implica in sé il concetto di intervento terapeutico in cui si determina attraverso il processo di conoscenza quel meccanismo orientato a creare l’ordine dal disordine (Malagoli, Telfener, 1991).

La diagnosi psicodinamica implica quel processo di conoscenza e descrizione delle dinamiche psicologiche profonde sottostanti ad una determinata sintomatologia psicopatologica dell’individuo ed è determinata sulla base delle prospettive teoriche di orientamento analitico quali la psicologia dell’Io, la teoria delle relazioni oggettuali e la psicologia del Sé.
Con essa si valutano le capacità dell’Io e l’utilizzazione dei meccanismi di difesa sottostanti ad un determinato comportamento sia esso normale o patologico.
Le relazioni con gli oggetti esterni (famigliari) o interni (rappresentazioni interiorizzate) e la percezione dei confini o della coesione del proprio Sé (Gabbard, 1995). Anche la diagnosi psicodinamica implica sotto certi aspetti il concetto di valutazione-intervento in quanto orientata alla creazione di un ordine là dove vi è un disordine.

La legge n. 56 del 18/2/1989 dell’ordinamento della professione dello psicologo così espressa: la professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità(…)
consente quindi allo psicologo, laureato in psicologia, abilitato all’esercizio della professione mediante esame di stato ed iscritto nell’apposito albo professionale, di effettuare la cosiddetta psicodiagnosi o diagnosi psicologica e psicopatologica.

Fonti:
- Gilson M.C. Il colloquio clinico e la diagnosi differenziale, Boringhieri, Torino, 1994.
- Gabbard G. Psichiatria psicodinamica, Raffaello Cortina, Milano, 1995.
- Malagoli T., Telfener U. Dall’individua al sistema, Boringhieri, Torino,1992.
- Ordinamento della professione di psicologo su www.psy.it (ordine nazionale psicologi)

- per un approfondimento giuridico sulla diagnosi differenziale dello psicologo si veda anche:
http://www.psicologiagiuridica.com/pub/docs/numero_14/articoli/ParereProVeritatePsicologi.pdf

Tratto da MEDICITALIA.IT
 
01/01/2007 20:53
LA PSICOTERAPIA
Il termine "psicoterapia" fu utilizzato per la prima volta dallo scrittore Van Eeden nel 1889 per descrivere un metodo di cura basato sull'intervento delle funzioni psicologiche. Essa è intesa come cura che agisce mediante mezzi psicologici attraverso un rapporto clinico tra uno specialista e un paziente e ha come scopo la messa in discussione delle dinamiche psicopatologiche di quest'ultimo, di attenuarne o ridurne i sintomi, di mediare al comportamento disturbante e promuovere uno sviluppo positivo della sua personalità.
Le psicoterapie utilizzano una varietà di tecniche prevalentemente mediate dalla comunicazione verbale e ognuna delle quali è basata su di un proprio modello teorico di riferimento. Alcuni di questi modelli sono fondati esclusivamente su basi empiriche come quelli utilizzati dalle psicoterapie di orientamento psicoanalitico o umanistico-esistenziale; altri, invece, nascono da studi sperimentali e sono utilizzati dalle psicoterapie di orientamento comportamentale.
Nonostante la diversità delle teorie di riferimento o il differente spessore scientifico, tutte le psicoterapie condividono numerosi punti che le accomuna e le rende simili in quanto a efficacia. In ogni processo psicoterapeutico sono presenti una serie di elementi aspecifici e riscontrabili in quasi tutti gli interventi e una serie di elementi specifici che caratterizzano esclusivamente un tipo di modalità terapeutica. Essi sono definiti come:
- ridefinizione, ossia una lettura di un comportamento sotto un'altra prospettiva - tipica delle terapie relazionali e cognitivo-comportamentali;
- abreazione, ossia la possibilità di portare a livelli maggiori di consapevolezza emozioni e conflitti - presente nelle terapie sia analitiche che umanistiche;
- interpretazione: rappresenta una spiegazione del significato inconscio di un determinato comportamento - un'esclusiva dell'intervento psicoanalitico;
- suggestione: si esplica nell'imporre nuove idee e nuove convinzioni nel paziente - presente con modalità più o meno accentuate in quasi tutte le forme di intervento psicoterapeutico.
Va evidenziato che esiste oggi una crescente proliferazione di tecniche o metodi che si autodefiniscono psicoterapeutici ma sono del tutto privi di un substrato teorico e metodologico riconosciuto, e si fondano su principi pseudoreligiosi o su filosofie new age. La psicoterapia va pertanto distinta da quelle situazioni in cui si riceve un aiuto psicologico informale da amici, parenti o terapeuti improvvisati, essa può essere svolta esclusivamente da uno psicologo o un medico entrambi specializzati, che appartengono a una scuola teorica ufficialmente riconosciuta e iscritti in un apposito albo professionale
Fonte: enciclopedia del cicap.
 
02/02/2006 09:33
LA PSICOANALISI DA UN PUNTO DI VISTA STRATEGICO-COMPORTAMENTALE
La psicoanalisi è scientifica?
Nella ricerca scientifica il livello di controllo del ricercatore sul suo oggetto di studio viene definito “livello di restrizione”, maggiore è il controllo dell’oggetto più alto è il livello di restrizione.
Sul gradino più alto della scala vi sono i metodi sperimentali in cui vi è un controllo totale delle variabili in gioco (stimoli, risposte),
sui gradini più bassi troviamo i metodi antropologici- naturalistici, poiché, limitati all’osservazione diretta di un comportamento o di un sistema culturale, ne descrivono passivamente i processi.
I metodi clinici, basati sull’interazione tra paziente e terapeuta, occupano un gradino centrale poiché l’intervento mirato del clinico si pone come uno stimolo orientato ad ottenere delle reazioni/risposte.
La psicoanalisi, come metodo clinico, si pone di certo al di sotto di quello sperimentale ma su di un gradino superiore a quello osservativo del metodo antropologico e/o naturalistico(1)
Una delle osservazioni critiche effettuate al modello psicodinamico è quello della non falsificabilità, ossia , secondo la definizione del filosofo della scienza Karl Popper una teoria è scientifica se può essere falsificata. In termini semplici un enunciato se viene sottoposto alla verifica dei fatti deve poter essere confermato o smentito
Affermazioni che non possono essere sottoposte a verifica (come ad esempio quelle religiose) non possono essere considerate scientifiche. Secondo Popper gli assunti psicoanalitici, orientati a spiegare determinati comportamenti, non sono scientifici perché non falsificabili, visto che ogni interpretazione riesce sempre ad inquadrare ogni comportamento all’interno dei suoi assunti senza possibilità di verifica.

Ma le teorie psicoanalitiche non possono in nessun modo essere falsificate?
Secondo un altro filosofo della scienza, Adolf Grünbaum, gli assunti psicoanalitici possono essere falsificati e lo dimostra partendo dagli stessi lavori del padre della psicoanalisi, Sigmund Freud.
Grünbaum osserva, in Introduzione alla psicoanalisi, nuova serie di lezioni, revisione della teoria del sogno, 1932, come Freud ridiscusse gli assunti fondamentali della sua teoria più nota, quella del sogno come appagamento allucinatorio dei desideri , per tener conto dei sogni dei pazienti affetti da nevrosi traumatiche, i quali, per sua stessa ammissione, facevano venir meno la funzione del sogno e la cui discussione non portava ad una soluzione soddisfacente. Inoltre in Ossessione, paranoia, perversione 1915 era pronto a mettere in discussione la teoria dell’omosessualità alla base della paranoia mediante la presentazione di un caso in contrasto con tale teoria.
In pratica Freud ha sottoposta alla falsificazione alcuni dei suoi assunti.
Oggi, ogni psicoanalista, nella sua pratica clinica, effettua ipotesi che sono sempre pronte ad essere falsificate. Per tanto, la psicoanalisi, come afferma Grünbaum, è scientificamente viva in continuo divenire esattamente come la medicina(2).

Come strappare il concetto di inconscio alla speculazione metafisica?
Indubbiamente ogni meccanismo mentale si incarna nella biologia del cervello. Tale meccanismo implica l’acquisizione, l’apprendimento di regole sociali, simboli culturali e l’attribuzione di significati alle cose. Attraverso determinati processi si costruiscono dei modelli per rappresentare ed interpretare la realtà e tali modelli entrano a far parte della nostra memoria. Tutto questo può semplicemente avvenire attraverso una forma di elaborazione che non raggiunge la consapevolezza.
Tale processo non lo si può osservare direttamente ma lo si comprende anche attraverso i suoi effetti (azioni automatiche, lapsus).
Un uomo può entrare in conflitto cosciente con regole sociali esterne, ma questo conflitto può esprimersi anche con quelle regole apprese e quindi viverlo inconsapevolmente lottando con sé stesso nel tentativo di risolvere la questione attraverso delle soluzioni di compromesso (sintomi) mediante processi di elaborazione non necessariamente coscienti.
L'uomo tende a dare significati alle cose (veri, falsi o ipotetici) e vive e agisce sulla base di questi. Un sogno ad esempio è, per la moderna neurobiologia, solo materiale di scarto privo di alcun significato, ma è l’uomo stesso che ci attribuisce dei simboli carichi di significati e rimugina su questi grazie alle emozioni che tali attribuzioni suscitano.
L'inconscio non ha certo una sede ma è solo una definizione operativa di un processo sul quale si attribuiscono inconsapevolmente dei significati. E tali significati hanno importanza nella misura in cui è l'uomo stesso ad averne bisogno. Un comportamento cosiddetto inconscio altro non è che un’azione spinta da un lavoro di elaborazione inconsapevole sulla base di rappresentazioni immagazzinate nella nostra memoria. Non c’è ovviamente alcuna elaborazione inconscia senza che ci sia un processo biologico-cerebrale(3).

In che modo la psicoanalisi può funzionare? Una lettura cognitivo-comportamentale del modello psicodinamico
La tecnica psicoanalitica, anche se nasce con una base teorica specifica (rendere cosciente conflitti o traumi nascosti), a fini pratici, utilizza elementi cognitivo-comportamentali, strategici e tecniche di suggestione.
Quando gli psicoanalisti ricostruiscono e interpretano danno un senso al sintomo, ne attribuiscono un significato seppur più verosimile che vero, una rilettura probabilistica della realtà e non per questo meno influente sul comportamento. Danno quindi vita ad una realtà nuova, ridefinita, spingendo il paziente a modificarne la visione e di conseguenza la valenza del comportamento sintomatico. Ecco la sua equivalenza di tecnica suggestiva e di ridefinizione. L’analista sta quindi effettuando una ristrutturazione cognitiva e gli effetti terapeutici dipendono più da questa che da un effetto catartico o abreativo, anche se gli effetti di quest'ultimi possono essere dovuti più alla valenza suggestiva che ad un reale riemergere di conflitti rimossi.
il trauma può anche esserci, tuttavia è un evento specifico (abuso, violenza, incidente) piuttosto evidente e difficilmente rimosso mentre ciò che sono meno evidenti sono quei processi di vita quotidiana (comunicazioni emotive distorte , distorsioni relazionali protratte nel tempo , serie di esperienze interpersonali negative) che possono rappresentare quelli che vengono definiti traumi nascosti ed è quelli che lo psicoanalista cerca, ricostruisce e decodifica.
Interpretazioni, decodifiche e nuovi significati fanno da stimolo nel modificare il comportamento del paziente e la ricostruzione è utile nella misura in cui tende a fornire le basi per una nuova decodifica (suggestione) ed un terreno favorevole teso a far accettare tale suggestione.
Ma a fini pratici cos'altro fa l’analista quando interpreta e decodifica? Attribuisce un significato nuovo a qualcosa (sintomo, percezione della realtà) e spinge il paziente a modificare questo qualcosa. L'analista lo fa, forse, con presupposti diversi, ma inevitabilmente e inconsapevolmente mette in atto tecniche simili a quelle cognitive e di suggestione. D’altronde lo stesso Freud in introduzione alla psicoanalisi, seppur con le legittime obiezioni orientate a sostenere la sua teoria, discute su questa possibilità.
Al pari della ristrutturazione cognitiva fornisce una nuova logica al mondo e al sintomo del paziente e ne modifica semplicemente la sua espressione disadattiva. Ed è questo che determina le basi di un cambiamento.
Da un punto di vista strategico-comportamentale Haley, in le strategie della psicoterapia 1974 , osserva come nei sistemi umani vi siano interazioni legate alla lotta per l'egemonia del potere e argomenta come nella relazione terapeutica tale lotta continui. Ogni comportamento in terapia psicoanalitica in fase di transfert (sintomi, minacce di suicidio ecc) vengono sminuite dall'atteggiamento passivo dell'analista (quasi a trasmettere: se ti uccidi io continuo nel mio lavoro) una mossa strategica di potere che inevitabilmente induce al cambiamento, vista l'inutilità del sintomo e la frustrazione di quest'ultimo. Anche la passività dell'analista classico ha effetti terapeutici strategico-comportamentali indipendentemente dal suo reale significato teorico di partenza. La psicoanalisi, senza volerlo, ha in se elementi di suggestione, ristrutturazione cognitiva e comunicazione paradossale.

Verso quali patologie è più indicata?
L'analista si pone come elemento essenziale per offrire una nuova relazione (positiva) da far interiorizzare al paziente, quella relazione che, per una serie di ragioni, non è stata permessa in fase di sviluppo. Nel cosiddetto "transfert" il paziente ripropone quelle modalità relazionali patologiche che, grazie all'analista, vengono comprese, dispiegate e ridefinite. Il paziente apprende quindi una nuova modalità relazionale in grado di riutilizzarla all'esterno. In virtù dei tempi decisamente lunghi appare chiaro che tale modello sembri inadeguato per patologie particolarmente invalidanti che necessitano di risultati più veloci, come i disturbi d'ansia ad esempio. Nata paradossalmente per la cura delle nevrosi, per la loro espressione particolarmente invalidante (panico, ossessioni, fobie) appare quindi poco efficiente.
Diverso il discorso è per le tecniche psicodinamiche di tipo breve, esse, al pari delle terapie brevi di tipo comportamentale e strategico, pongono la loro attenzione sul sintomo e stimolano in modo più attivo e veloce il cambiamento.
Per quel che riguarda altri disturbi come quelli di personalità e/o soprattutto i disagi di tipo esistenziale, in cui vi è maggiore necessità di un intervento più strutturale meno orientato all’aspetto sintomatico e più sulla struttura globale della personalità e sui quali un maggior tempo appare necessario, la psicoanalisi sembra trovare un terreno fertile sul quale intervenire(4).

Note:
1) Si veda Robert, la ricerca scientifica in psicologia, BUL 1994
2) Migone, terapia psicoanalitica, Franco Angeli, 2002.
3) Per una maggiore trattazione sull’incoscio e le sue rappresentazioni si veda, Stern, Ammanitti, Rappresentazioni e Narrazioni, Laterza 1991.
4) Sulla efficacia dei vari approcci psicoterapici si veda Morosini et al. Ital Psychopatol, 2004 ; 10:62-70

tratto da MEDICITALIA.IT
 
01/02/2006 23:02
SOVRASTIMA DEL DISTURBO BIPOLARE, PERCHE'?
Un recente studio ha evidenziato che un gruppo di pazienti che avevano ricevuto diagnosi di disturbo bipolare, quando successivamente sottoposti a uno strumento diagnostico strutturato, l'intervista SCID, meno della metà di loro si è vista confermare tale diagnosi.

La SCID (Structured Clinical Interview for DSM-IV) consiste in un intervista strutturata, specificamente sviluppata per individuare i quadri clinici descritti dal manuale DSM-IV ma che non sempre è usata dai clinici in fase diagnostica.

I pazienti inizialmente diagnosticati come bipolari si sono rivelati più esattamente descritti da altri quadri clinici, come il disturbo borderline o un disturbo del controllo degli impulsi.

La conclusione di M. Zimmerman e colleghi, autori dello studio, apre un ampio spazio di riflessione: la sovrastima del numero delle diagnosi di disturbo bipolare da parte del medico (psichiatra) potrebbe essere dovuta alla miglior risposta che questo disturbo ha al trattamento con farmaci, rispetto al disturbo borderline di personalità, che ha una risposta peggiore.

E dato che continuano ad aumentare le prove che alcune forme di psicoterapia sono più indicate nel disturbo borderline, l'eccesso di diagnosi di disturbo bipolare in pazienti con disturbo borderline può risultare nella mancata applicazione delle forme più appropriate di trattamento.
su:
http://www.sciencedaily.com/releases/2009/07/090729100936.htm
Fonte:
M. Zimmerman, C. Ruggero, I. Chelminski, D. Young. 2009. Lifespan. If Bipolar Disorder Is Over-diagnosed, What Are The Actual Diagnoses?

Commento:
a nostro avviso c'è da aggiungere che il rifiuto del disturbo borderline nasce anche per il rifiuto verso gli assunti psicoanalitici, da parte di psichiatri prettamente organicisti che negano a priori il concetto di origine bio-psico-sociale del disturbo psicologico,
la classificazione dei disturbi borderline sul DSM è di derivazione prettamente psicodinamica, basata soprattutto sulle classificazioni di Otto Kernberg e che, invetiabilmente, rimandano ai concetti di difese e implicitamente all'inconscio.
Appare ovvio che negando un modello teorico ne venga negata addirittura ogni derivazione anche descrittiva, pur a discapito della realtà.
 
01/02/2005 09:31
QUANDO LA MALATTIA MENTALE NASCE IN FAMIGLIA E NON NEL CERVELLO
La nostra discussione si orienta verso quelle DISTORSIONI COMPORTAMENTALI, PERVERSE e PSICOTICHE che avvengono quotidianamente in molti sistemi famigliari ma che sono così sottili e celati da non destare alcun sospetto ad un osservatore esterno ed inesperto.

In un libro dal titolo i giochi psicotici nella famiglia una nota psicologa, Mara Selvini Palazzoli ed i suoi collaboratori evidenziarono una forma di triangolazione tra i membri di diverse generazioni (generazione dei genitori e generazione dei figli) così disfunzionali al punto da creare delle condizioni di convivenza così estreme da indurre i membri più giovani verso reazioni psicopatologiche di vario genere che andavano dai comportamenti schizofrenici a vere e proprie sindromi depressive e/o disturbi del comportamento alimentare.

Gli autori dello studio evidenziarono che quanto più i vari membri di un sistema famigliare fossero INVISCHIATI tra di loro più gravi erano le reazioni psicopatologiche e tracciarono un percorso comportamentale alla base di queste reazioni che, seppur presenti quasi universalmente in tutte le famiglie, in determinate occasioni si irrigidiscono e si estremizzano.

Gli autori individuano innanzitutto una COPPIA in stallo, ossia CONFLITTUALE con una comunicazione inefficace carica di accuse reciproche e di risentimenti. Uno dei due membri assume un atteggiamento più attivo nei confronti dell’altro, con accuse esplicite, rimproveri tesi all’evidenziazione delle mancanze o inadeguatezze del partner nei diversi campi famigliari (educazione, doveri domestici o coniugali) . Per contro, l’altro membro assume un atteggiamento passivo, di vera vittima che assorbe la accuse del coniuge e reagisce a quest’ultimo solo con lamentele celate, sospiri o sguardi di disapprovazione.

Il membro passivo aggiunge alle sue reazioni contenute una ricerca di disapprovazione verso il partner con sguardi impliciti, celati di sofferenza e di richiesta di aiuto da parte di un figlio cercando una sorta di alleanza nascosta. I suoi sguardi, i suoi sospiri hanno una funzione di allertare il figlio come se, in questi atteggiamenti, vi fossero comunicazioni del tipo. “guarda che mi tocca subire” .
Questa comunicazione celata appare così efficace a tal punto da ottenere questa complicità da parte del figlio che viene implicitamente aizzato contro
l’altro genitore, quello più attivo, quello persecutore.

Il figlio, quasi come un paladino della giustizia del membro passivo e debole, assume le difese di quest’ultimo con una implicita comunicazione del tipo: “visto che tu non reagisci lo faccio io per te” e mette in atto una serie di comportamenti insoliti di vera e propria protesta. Questi atteggiamenti possono essere tra i più vari quali di rabbia, di provocazione ( come ad esempio tornare tardi la sera senza avvisare, rifiutarsi di studiare, spendere troppo denaro ecc.). In pratica questi comportamenti sarebbero anche una specie di lezione verso il genitore debole quasi una dimostrazione di come dovrebbe comportarsi.

Tali atteggiamenti, tuttavia, risultano insoliti ad entrambi i partner compreso quello debole che, in realtà, ha cercato l’alleanza del figlio più per una forma di strumentalizzazione che per una vera ricerca di aiuto. Entrambi i partner non vedono di buon occhio questi atteggiamenti poiché vanno ad intaccare uno pseudo equilibrio che li ha mantenuti fino a quel momento. A prendere l’iniziativa di contrastare questo nuovo atteggiamento del figlio è ovviamente il genitore attivo con rabbia e punizioni fino al raggiungimento di un vero e proprio conflitto con quest’ ultimo. Ma la cosa spiacevole che accade è che anche il genitore passivo, quello debole, che inizialmente aveva cercato quella alleanza, ora si schiera con il coniuge prendendo addirittura le proprie difese .

Il figlio vive questa condizione come una sorta di tradimento poiché viene a cadergli addosso quel mondo di convinzioni e di alleanze che credeva di aver costruito. Inoltre questa nuova alleanza dei genitori viene vissuta come il fallimento della sua missione di protesta. Da qui mette in atto una serie di reazioni patologiche che, paradossalmente, mettono in accordo ed appianano i vecchi conflitti della coppia in quanto un nuovo interesse li accomuna. La malattia del figlio. Su questa malattia la coppia si unisce e la mantiene in vita. Quest’ultima infatti crea nella coppia una buona dose di benefici secondari che vanno dalla comprensione e compassione di altri membri della famiglia e della comunità.

Da questo studio gli autori considerano quindi le reazioni patologiche in virtù di questa perversa triangolazione e descrivono l’anoressia come un vero sciopero della fame, la depressione come la reazione ad un abbandono e la psicosi come la conseguenza di uno stato confusionale in cui ci sono stati dei voltafaccia e dei cambiamenti di carte in tavola.
In alcune famiglie anche la comunicazione assume una vera e propria forma perversa, infatti Watzlawick e collaboratori in pragmatica della comunicazione umana descrivono come determinate reazioni psicotiche siano la conseguenza di una comunicazione cronicamente distorta e ripetuta carica di contraddizioni in cui una richiesta o una affermazione è subito disconfermata da una affermazione uguale ed opposta da creare una vera e propria via senza uscita.

Un esempio è dato da una frase del tipo: “devi imparare ad essere autonomo, ma l’importante è che tu faccia ciò che ti dico io” una spinta verso l’autonomia che viene contemporaneamente castrata ed impedita, o addirittura ne viene favorita la condizione opposta. Da questo atteggiamento un figlio si difenderebbe reagendo con un atteggiamento sospettoso come se si fosse perso qualche elemento della comunicazione e cercandone i sotterfugi sottostanti con un quadro simile alla paranoia. Oppure reagisce non reagendo ma abbandonandosi a sé stesso e staccandosi dalla realtà rifugiandosi in un mondo interiore con un atteggiamento simile alla catatonia o ancora con uno stato di profonda confusione da somigliare ad un ebefrenico.

Appare ovvio che, come conseguenza di questi giochi famigliari disfunzionali possiamo aggiungere che il giovane figlio può reagire con impulsi profondamente aggressivi o con vere e proprie fantasie di morte verso qualcuno dei membri della sua famiglia, impulsi e/o fantasie ovviamente inaccettate e dalle quali si difende con la messa in atto, inconsciamente, dei ben noti meccanismi di difesa descritti dalla psicoanalisi. Per cui, con il tentativo di rimuovere tali impulsi reagisce o con la regressione, abbandonandosi alle proprie fantasie e ad atteggiamenti infantili, oppure può rivolgere verso di sé la propria aggressività, con comportamenti autolesionistici o depressivi. Si difende mediante meccanismi di proiezione, ossia proiettando la sua aggressività sugli altri percependoli quindi come persecutori. Può mettere in atto reazioni dissociative vivendo come dall’esterno o da un altro corpo quell’esperienza ritenuta devastante oppure trasformando la sua protesta, per l’incapacità di esprimere i suoi malesseri psicologici, in un malanno fisico attraverso meccanismi di conversione e somatizzazione.

Abbiamo visto come la psicopatologia non sia solo la conseguenza di una malattia del cervello ma l’espressione di una perversa e distorta interazione dei membri di un gruppo coinvolto da intensi legami emotivi ed affettivi.

Riferimenti:
Palazzoli Selvini, et. Al., i giochi psicotici della famiglia, Raffaello Cortina 1988.
Watzlawick et. al. Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio, 1971.
White, Gilliland, i meccanismi di difesa, Astrolabio, 1977.

tratto da MEDICITALIA.IT
 
01/02/2004 22:54
TRATTAMENTO DELLA DIPENDENZA DA FUMO
LA DIPENDENZA DA TABACCO HA IMPLICAZIONI SIA FISICHE CHE PSICOLOGICHE E RELAZIONALI. E’ NOTO QUANTO SIANO POCO EFFICACI LE TERAPIE SOSTITUTIVE (CEROTTI, GOMME) SE QUESTE NON SONO SUPPORTATE DA UN TRAINING PSICOLOGICO ORIENTATO A MODIFICARE E/O SPEZZARE DETERMINATE DINAMICHE COMPORTAMENTALI ATTE A SPINGERE IL FUMATORE AD ACCENDERSI UNA SIGARETTA. MOLTE DELLE MODALITA' COMPORTAMENTALI DI UN FUMATORE SONO ASSOLUTAMENTE AUTOMATICHE ED INCONSCE ED A QUEST'ULTIME CHE IL PROGRAMMA, PER LA RIDUZIONE DEL FUMO E' ORIENTATO. UN INDIVIDUO COMPIE IL GESTO DI FUMARE (PRENDERE LA SIGARETTA DAL PACCHETTO, PORTARLA ALLA BOCCA, ACCENDERLA) ATTRAVERSO UNA SORTA DI PILOTA AUTOMATICO CHE , DOPO ESSERSI INNESCATO, LO SI LASCIA PILOTARE PASSIVAMENTE. QUESTO PROGRAMMA VUOLE AUMENTARE IL SENSO DI CONSAPEVOLEZZA SUI PROPRI AUTOMATISMI E AD INSEGNARE UN MAGGIOR CONTROLLO NEL FUMATORE SULLA QUANTITA' DI SEGARETTE ASSUNTE. NESSUN METODO COERCITIVO MA SOLO UN AIUTO A LIMITARE I DANNI.
 

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